Fondo Pensione, Previdenza TFR

TFR in azienda: i rischi

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Quali sono i rischi di tenere il TFR in azienda?

Ci sono tante persone che si interrogano sui rischi del lasciare il TFR in azienda. E di certo questa è una domanda che bisogna porsi, per il semplice fatto che il TFR, anno dopo anno, va a costruire un tesoretto notevole. Ma non è tutto qui: nel sistema lavorativo e pensionistico attuale, infatti, è sempre più naturale e sensato pensare al TFR come a una risorsa da destinare al proprio benessere futuro, e quindi di fatto a una pensione integrativa, attraverso una apposito fondo pensione. Il motivo è semplice: vista la pochezza degli assegni pensionistici presenti e futuri, poter contare su una pensione integrativa, che vada a potenziare quella dell‘INPS, è utile, se non prezioso, tanto da fare la concreta differenza tra uno stile di vita tutt’altro che agevole e uno stile di vita agiato. Persino lo Stato, attraverso il decreto legislativo 252 del 2005, ha riformulato la situazione complessiva del TFR, prendendo atto dell’insufficienza di buona parte delle pensioni INPS erogate in questi anni e in quelli futuri. Di fronte a questo scenario, domandarsi quali sono i rischi del tenere il TFR in azienda è doppiamente importante, per avere la certezza che questi risparmi non possano semplicemente scomparire, totalmente o parzialmente.

Il TFR in sintesi

Abbiamo già visto su questo sito cosa è il TFR. Qui mi limiterò quindi a ricordare che il TFR, chiamato anche buonuscita, non è un premio, non è un qualcosa in più che viene dato al lavoratore: si tratta in tutto e per tutto di una parte della retribuzione dovuta al dipendente, la quale però, per come sono le regole attualmente (a partire dal 2018, dopo una breve sperimentazione sul versamento in busta paga), non può essere versata della normale busta paga mensile. Il TFR, previsto per il lavoratore pubblico come per quello privato, costituisce il Trattamento di Fine Rapporto: per calcolare la quota annuale è possibile prendere in considerazione la retribuzione annua e dividerla per 13,5, per poi sottrarre lo 0,50%, il quale va a finanziare il Fondo di Garanzia INPS (sul quale peraltro torneremo tra poco). A tutti i lavoratori dipendenti spetta il TFR, e ognuno può decidere dove destinare questo tesoretto.

TFR, dove destinarlo: in azienda o in un fondo pensione?

Per anni la scelta automatica circa la gestione del TFR è stata di lasciarlo in azienda, concedendo la possibilità al datore di lavoro di investire questo fondo – a tutti gli effetti dei lavoratori – per ampliare il business, per acquistare macchinari e via dicendo, con tutti i rischi che questa possibilità può comportare. Attualmente – a partire dalla riforma entrata in vigore dal 2007 – invece, spetta al lavoratore decidere dove destinare il TFR: è possibile mantenerlo in azienda, con i rischi che vedremo poi, nonché destinarlo a dei fondi di investimento, e nello specifico a dei fondo pensione. Scegliere di destinare il proprio Trattamento di Fine Rapporto in un fondo pensione vuol dire che si potrà godere di quei risparmi in forma di pensione integrativa; abbiamo peraltro visto che ci sono diverse modalità per attingere dal proprio fondo pensione in caso di bisogno, dall’acquisto della prima casa fino alla richiesta di liquidità per affrontare un periodo di disoccupazione o di malattia.

Il TFR lasciato in azienda: la differenza tra aziende con più e meno di 50 dipendenti

Il discorso del lasciare il TFR in azienda cambia in modo importante prendendo in considerazione le aziende di più o meno di 50 dipendenti. Nel caso delle aziende con oltre 50 dipendenti, il TFR maturato dai lavoratori deve essere passato progressivamente, di mese in mese, al Fondo di Tesoreria dell’INPS. Diversamente, nel caso di aziende con meno di 50 dipendenti – ovvero circa il 90% delle imprese italiane – il TFR resta effettivamente in azienda, trattenuto dalla proprietà. Ed è qui che si individuano i rischi del lasciare il TFR in azienda. Cosa potrebbe accadere in caso di difficoltà economiche o di veri e propri fallimenti?

La tassazione e il rendimento del TFR lasciato in azienda

Ancora prima di vedere quali sono i rischi del lasciare il TFR in azienda, è interessante sottolineare il fatto che, al di là di quello che potrebbe accadere in caso di difficoltà economiche dell’azienda, destinare il TFR a un fondo pensione è già di per sé conveniente a livello matematico. Va infatti precisato che il rendimento di un fondo di previdenza complementare è mediamente maggiore rispetto a quello del TFR in azienda. Non è tutto qui, in quanto va detto che la tassazione sul TFR lasciato in azienda è maggiore rispetto a quella prevista per i fondi di pensione. E ancora, non si deve scordare che, come previsto dall’articolo 8, comma 4, del Dlgs 252/2005, la contribuzione versata annualmente in un fondo pensione risulta deducibile dal reddito complessivo fino a 5.164,57 euro su base annua, per avere così un notevole sgravio fiscale.

Lasciare il TFR in azienda: i rischi

Il TFR è un tesoretto molto importante, che può fare, come abbiamo visto, la differenza per il benessere di una persona. Per questo motivo questo fondo di risparmio è tutelato con varie misure ad hoc. Questo non significa però che non esistano dei rischi nel lasciare il TFR in azienda anziché destinarlo in un fondo pensione. Pensiamo a un’azienda in crisi, che non ha fondi per versare il TFR ai propri lavoratori in uscita. Per proteggere i lavoratori è stato istituito il Fondo di Garanzia INPS, il quale in caso di bisogno va a versare il Trattamento di Fine Rapporto ai lavoratori al posto dell’azienda fallita.
La faccenda, però, non è così semplice. Per accedere al fondo è infatti necessario poter dimostrare che l’azienda, nonostante tutte le strade percorse dal lavoratore, non può in alcun modo versare il TFR dovuto. Si potrà attingere al fondo di garanzia solo in caso di rapporto di lavoro subordinato cessato, con accertato stato d’insolvenza, con una procedura concorsuale di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo o di amministrazione straordinaria. Nel caso in cui non siano state attivate delle procedure concorsuali, invece, sarà necessario dimostrare l’inapplicabilità di queste ultime, attraverso l’esibizione del decreto di rigetto dell’istanza di fallimento – emesso dal tribunale – nonché dimostrare che le garanzie patrimoniali dell’azienda risultino insufficienti.