Fondo Pensione

Per una pianificazione previdenziale al femminile: alcuni spunti di riflessione

pianificazione previdenziale al femminile

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Le donne sono svantaggiate anche per quanto riguarda la previdenza: ecco alcuni dati

Un popolo di grandi risparmiatori. Indagine dopo indagine, gli italiani continuano a dimostrarsi come un popolo che vuole risparmiare e che molto spesso ce la fa. Basti guardare all’ultimo rapporto annuale della direzione studi e ricerca di Intesa Sanpaolo e dal Centro Einaudi: qui si legge che il 53,5% degli italiani nel 2022 è costituito da risparmiatori. E questo in un anno economicamente difficile, che comunque riesce ad avvicinarsi, per dire, ai valori del 2019 (quando si era al 55,1%). Si risparmia per i più differenti motivi: c’è chi lo fa con un obiettivo preciso, chi lo fa per ragioni puramente precauzionali, e via dicendo. Ma va di certo detto che in un periodo di inflazione tenere fermi i soldi in banca porta inesorabilmente a dei costi, e nemmeno ridotti. E ancora: se è vero che gli italiani sono grandi risparmiatori, è vero anche purtroppo che hanno un’educazione finanziaria spesso scarsa, che si rivela del tutto insufficiente quando si parla di gestione della previdenza. Ed è un grosso problema, soprattutto pensando al fatto che le pensioni INPS del futuro tutto saranno fuorché generose per gran parte degli italiani. Il dato è peraltro ancora peggiore guardando alle donne: per questo oggi voglio dare alcuni spunti di riflessione intorno al tema della pianificazione previdenziale al femminile.

La pianificazione previdenziale al femminile: la situazione attuale

Per parlare in modo approfondito della pianificazione previdenziale al femminile partiamo da un presupposto di base: in Italia il livello di alfabetizzazione finanziaria presenta una differenza di genere abbastanza forte. Stando all’indagine condotta da Banca d’Italia nel 2020, il punteggio medio degli uomini è di 11,44 (su un totale di 21) mentre quello delle donne è di 10,95. Non dovrebbe poi nemmeno servire sottolineare che in media gli uomini italiani presentano non solo stipendi, ma anche redditi più alti rispetto alle donne. Questo dovrebbe bastare per delinare lo sfondo “economico” di partenza.
Vediamo ora la questione della pianificazione previdenziale al femminile: se a fine 2020 in Italia si contavano 8,4 milioni di iscritti alla previdenza complementare, gli uomini rappresentavano il 61,7% del totale, laddove invece le donne si fermavano al solo 38,3%. Certo, il dato femminile sta mostrando negli ultimi anni una leggera crescita, ma il gap di genere qui è ancora fortissimo. Va peraltro detto che, per diversi motivi che vedremo più nel dettaglio delle prossime righe, le donne avrebbero nella maggior parte dei casi motivi ancora più solidi rispetto agli uomini di pensare alla propria pianificazione previdenziale, e quindi a rendere più robusta la propria pensione.

Minore propensione al rischio e maggiore aspettativa di vita

Gli aspetti che si potrebbero sottolineare per affermare quanta attenzione si dovrebbe prestare alla pianificazione previdenziale al femminile sono tanti. Qui voglio soffermarmi su due elementi specifici, ovvero la speranza di vita delle donne e la propensione al rischio.
Come è noto l’aspettativa di vita in Italia è molto alta: attualmente si parla di 82,6 anni. Più nello specifico, la speranza di vita aggiornata dall’Istat nel 2023 è di 80,5 anni per gli uomini e di 84,8 anni per le donne. Già questo dovrebbe essere un dato che dovrebbe portare maggiormente le donne a pensare alla propria previdenza: vivendo mediamente più a lungo dopo la pensione, le donne dovrebbero tutelarsi maggiormente. Tanto più che nei prossimi anni l’aspettativa di vita aumenterà ulteriormente, per arrivare fino a 90 anni per le donne intorno al 2050. Questo significa che le donne – le quali arriveranno alla pensione con redditi e con assegni mediamente minori – avranno davanti a sé più anni in cui vivere con i propri risparmi, a fronte di tantissime incognite sul piano della salute. Si pensi per esempio alle condizioni di non autosufficienza: si calcola che una donna su 3 non è in condizioni di autosufficienza dopo i 65 anni, per arrivare a una donna su 2 dopo i 75 anni. A questo va sommato il fatto che in media la donna è più giovane di 3 anni rispetto al partner: si parla quindi tendenzialmente di un partner più vecchio, con un’aspettativa di vita peraltro minore. Ecco allora che è più probabile per una donna passare parte della pensione in solitudine, con potenziali conseguenze anche a livello economico.

Ecco, dopo questo discorso in effetti un po’ pesante, che però non deve essere trascurato, voglio passare a qualcosa di più leggero, ma pur sempre importante. Diverse indagini dimostrano infatti che le donne sono delle investrici migliori rispetti agli uomini. Un rapporto Vanguard mostra che le donne riescono a risparmiare in media il 7% del proprio stipendio rispetto al 6,8% degli uomini; e ancora, se quando è il momento di fare investimenti il 54% degli uomini assume più rischi del necessario, la soglia si ferma al 48% per le donne, per arrivare infine a rendimenti praticamente identici. Questo ci dice che le donne in media sono investitrici più prudenti, più coscienziose, arrivando ai medesimi tassi di rendimento con meno rischi.

Anche per questo motivo le donne dovrebbero essere naturalmente portate verso un fondo pensione.

La pensione per le donne in Italia

Come è noto, negli ultimi anni l’età per la pensione di vecchiaia in Italia è andata via via uniformandosi per donne e uomini. Si parla di 67 anni di età e di 20 anni di contributi. Alle donne è riconosciuto uno sconto di 4 mesi per ogni figlio avuto, fino a un massimo di un anno. Per quanto riguarda la pensione anticipata, si parla di 41 anni e 10 mesi per le donne (e di 42 anni e di 10 mesi per gli uomini). E certo, c’è l’Opzione Donna, che si applica però solamente a lavoratrici in condizioni di svantaggio.
Al di là di tutto, è certo che le donne scontano ancora oggi maggiori difficoltà nel maturare contribuzioni importanti. Pensiamo a una donna che, come lavoratrice dipendente, ha avuto due figli. Questo significa aver due buchi contributivi notevoli per le due maternità, soprattutto nel caso in cui si scelga di rientrare in lavoro in part-time per i primi 8 mesi: questo è sufficiente per ritrovarsi ad avere a che fare con degli assegni pensionistici di svariate centiaia di euro minori rispetto a un collega. Per questi e per altri motivi, si arriva alla dura verità dell’assegno pensionistico medio in Italia, che si attesta su 15.857 euro lordi all’anno per le donne e sui 21.906 euro lordi all’anno per gli uomini.

Il fondo pensione per colmare il divario pensionistico

Perché una donna vive mediamente di più, perché in tanti i casi le donne vivono molti anni dopo la perdita del partner, perché mediamente la donna riceverà un assegno pensionistico minore: sono questi i principali motivi che dovrebbero spingere verso una riflessione sulla pianificazione previdenziale al femminile. E purtroppo questo accade troppe poche volte, per il semplice fatto che le donne ancora più degli uomini prendono coscienza del proprio futuro tenore di vita molto tardi, spesso troppo tardi. Certo, aderire a un fondo pensione a 50 anni può essere sicuramente utile, ma la differenza la si può fare di certo aderendo a un fondo prima, a 30 o a 40 anni, sapendo peraltro che i contributi volontari sono interamente deducibili dal reddito Irpef, fino a 5.164 euro all’anno. Ecco allora che, con piccoli versamenti regolari, uniti al versamento del TFR nel fondo pensione, è possibile mettere al sicuro la propria pensione, godendo allo stesso tempo di un risparmio fiscale in fase di dichiarazione dei redditi.

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