Fondo Pensione, Previdenza TFR

Pensioni in Italia e pensioni all’estero: un confronto

pensioni in Italia e all'estero confronto

7 minuti di lettura

La paura per la pensione

Intorno alle pensioni in Italia aleggiano parecchi sentimenti: desiderio, certo, ma anche confusione, speranza e timore. Parecchio timore. Perché si sa, lo scenario pensionistico italiano negli ultimi trent’anni è cambiato parecchio, portando a dei risultati non certo incoraggianti. Le simulazioni INPS ci dicono per esempio che un 25enne che, terminata l’università, ha iniziato a lavorare lo scorso anno, andrà in pensione a 70 anni (a patto di aver accumulato almeno 46 anni e 4 mesi di contributi, praticamente senza “intoppi” di carriera). E se il lato anagrafico non fa sorridere, nemmeno quello economico è dei migliori, anzi: attualmente l’importo medio delle pensioni in Italia è di 1.007 euro al mese, e si sa che con il contributivo puro sarà sempre peggio (per questo poche settimane fa ho parlato di come aumentare la pensione). Ma le pensioni in Italia sono davvero le uniche a navigare in acque così pericolose? Facciamo un confronto tra il sistema pensionistico italiano e quello degli stati esteri!

Come confrontare le pensioni in Italia con quelle all’estero: i punti in comune

Come è noto, il sistema pensionistico è qualcosa di molto complesso: per parlarne in modo corretto è necessario considerare tantissimi fattori. Si capisce allora che, nel fare un confronto tra le pensioni in Italia e quelle all’estero, è bene tenere a mente che ogni paese vanta storia, tradizioni e sistemi di welfare differenti, che hanno portato a regolamenti previdenziali altrettanto diversi. Anzi, le differenze sono talmente grandi da assegnare decisamente al mondo dell’utopia il sogno di avere un unico sistema pensionistico europeo: gli ostacoli da superare sono semplicemente troppi e troppo alti. Detto questo, tutti i Paesi europei puntano in linea di massima ai medesimi obiettivi primari in campo previdenziale, così come definiti dalla Stretegia di Lisbona:

  • Adeguatezza: un’obiettivo principale deve essere quello di garantire una vita dignitosa ai pensionati
  • Sostenibilità: si deve puntare a costruire un sistema pensionistico solido, guardando al presente come al futuro
  • Modernizzazione: si devono definire delle regole pensionistiche in linea con il mondo del lavoro attuale, pensando a dati come l’età di entrata di lavoro, alla stabilità lavorativa e via dicendo.

Sembra tutto scontato, ma non lo è. Sappiamo benissimo che negli ultimi 30 anni i governi italiani hanno pensato soprattutto alle sostenibilità, e meno agli altri due principi: ecco allora che le pensioni arrivano e arriveranno più tardi, con assegni più magri, per garantire un sistema pensionistico solido. Per quanto riguarda la modernizzazione la questione è ancora più difficile: come gestire masse di 70enni in attesa della pensione in un mondo del lavoro che tende ad allontanare i 60enni? E come adeguare un sistema pensionistico contributivo a un mondo del lavoro instabile e precario, con frequenti “buchi” di carriera?
Guardando all’adeguatezza, infine, i dati lo dimostrano: spesso le pensioni italiane non sono sufficienti per garantire una vita dignitosa ai pensionati, i quali anzi si trovano spesso in situazioni di povertà.

Pensioni in Italia e pensioni all’estero: i sistemi diversi

Ma per quale meccanismo un pensionato italiano può trovarsi in povertà o comunque in una situazione economicamente difficile? Semplice: il sistema italiano pensionistico si rifà al sistema messo a punto da Otto Von Bismarck a fine Ottocento, in Germania, con le prestazioni pensionistiche che sono commisurate ai contributi versati; ci sono invece altri paesi in cui le prestazioni sono universali e garantite a tutti, a prescindere dai contributi, seguendo il pensiero di Lord William Henry Beveridge. Ecco, possiamo pensare ai sistemi pensionistici internazionali come a sfumature o compromessi di questi due pensieri. L’Italia poggia tutto sui contributi, mentre altrei paesi tendono ad assicurare a prescindere una buona pensione, per il solo fatto di essere parte della comunità (è il caso dei paesi nordici). E poi ci sono i paesi che si situano a metà, come per esempio il Regno Unito, meno paternalista rispetto agli scandinavi ma più universalista rispetto agli italiani, con una copertura pubblica di base che viene integrata con i contributi del singolo cittadino.

La spesa pensionistica in Italia e all’estero

Ogni sistema pensionistico poggia quindi su regole leggermente diverse. Ma alla fine, si potrebbe pensare, quel che conta è il (vil) denaro. Qual è quindi la spesa dello Stato italiano per assicurare le pensioni ai suoi cittadini? Avendo a che fare con pensioni via via più basse e più tarde, si potrebbe pensare che tale spesa, se confrontata con quella di altri paesi, sia bassa. Ebbene, non è propriamente così, anzi, i numeri ci mostrano che l’Italia non ha le possibilità di fare tanto di più per i propri cittadini: in Italia la spesa pensionistica corrisponde al 15,6% del Pil. In Francia si parla del 13,6%, in Germania del 10,2%, nel Regno Unito del 5,6%, in Islanda di meno del 3%, laddove la media a livello dei Paesi Ocse è del 7,7%. Difficile insomma trovare un Paese che spende di più dell’Italia per le sue pensioni. Da qui si intuisce ancora meglio il perché sia lo stesso Stato italiano a spingere i cittadini verso delle forme di previdenza complementare, a partire dal fondo pensione: più di così, il Paese, non può fare, e passa quindi la palla al cittadino affinché investa personalmente oggi per il proprio futuro.

L’età di pensionamento, in Italia e all’estero

Confrontare le pensioni in Italia con quelle di altri Paesi ci può aiutare anche a capire quanto effettivamente sia anomala (o al contrario normale) la situazione italiana. Guardiamo all’età di pensionamento: come sappiamo al momento il requisito della pensione di vecchiaia è fissato a 67 anni, ma è vero anche che l’effettiva età media di pensionamento in Italia è di 62 anni (tenendo conto delle pensione anticipata, delle varie quote 100-103, e via dicendo). E a livello internazionale? L’età media effettiva di pensionamento in Olanda è di 66 anni, così come è di 66 anni anche negli Stati Uniti. In Finlandia si parla di 65 anni, così come in Spagna. L’età media effettiva di pensionamento Ocse è di 64 anni, e quindi di fatto di 2 anni superiore rispetto all’Italia. E certo, nel nostro Paese l’età di pensionamento è destinata ad aumentare, ma così accadrà anche nella maggior parte dei Paesi Ocse, portando la media a circa 66.

Gli stipendi pensionistici, confrontati

Insomma, l’età di pensionamento italiana sembra abbastanza in linea con quello internazionale. E per quanto riguarda gli stipendi pensionistici, come si piazzano le pensioni in Italia rispetto a quelle estere? Ebbene, ovviamente abbiamo a che fare con delle economie molto diverse, con costi della vita differenti, e via dicendo. Può però esser utile un dato: in media, nell’Ocse, il rapporto tra pensione e stipendio è del 62%; ecco, in Italia un lavoratore dipendente (nel 2030) prenderà in media una pensione pari al 63% del suo reddito da lavoro. L’autonomo si fermerà invece al 43% del fatturato.

La necessità della pensione integrativa

Come si è visto, quindi, a conti fatti la situazione delle pensioni in Italia non è così anomala. Molto semplicemente, tutti i Paesi occidentali stanno andando incontro a due dati ben precisi, ovvero da una parte al calo delle nascite, e dall’altra all’aumento dell’attesa di vita. Meno lavoratori, più pensionati, il che non può che assottigliare gli assegni pensionistici. A rendere le cose più complicate ci sono gli stipendi, che non stanno crescendo nel tempo, nonché la precarietà sempre più diffusa del mondo del lavoro, con alti tassi di disoccupazione e di inoccupazione. In uno scenario di questo tipo, la maggior parte dei lavoratori italiani è chiamata a integrare la propria pensione INPS con un investimento dedicato e personale: lo strumento principe in tal senso è il fondo pensione. Lo stesso Stato, sapendo che le pensioni pubbliche future non saranno sufficienti, incentiva la previdenza complementare, rendendo deducibili i contributi versati in forme di assistenza complementare, fino a un massimo di 5.164 euro all’anno. E, grazie al versamento del TFR nel fondo pensione, il tesoretto cresce nel tempo senza sforzi, assicurando una pensione più serena.

Contattami per individuare l’investimento corretto per la tua pensione, e seguimi su Facebook,  LinkedIn Instagram per avere settimanalmente consigli preziosi!

Articoli correlati