Fondo Pensione, Previdenza TFR

Cosa succede al fondo pensione al cambio di lavoro?

Cosa succede al fondo pensione al cambio di lavoro?

Cambio di lavoro e fondo pensione: che cosa succede?

Il cambio di lavoro è sempre più frequente. L’intera carriera in un’azienda è un ricordo del passato, ed è sempre più raro trovare dei professionisti che passano l’intera vita professionale con un unico brand. Per i più diversi motivi. Spesso perché sono le aziende ad avere l’interesse o l’esigenza di porre fine a dei contratti di lavoro, e altrettanto spesso perché sono gli stessi dipendenti a voler cercare altrove fortuna. Del resto il cambio di azienda è sempre più visto come un modo per velocizzare il miglioramento della carriera professionale. Si pensi che Forbes, nel 2021, sottolineava l’importanza di cambiare azienda con l’obiettivo di puntare a miglioramenti in busta paga compresi tra il 10% e il 20%, Stando a un rapporto recente del Bureau of Labor Statistics, i lavoratori oggi cambiano azienda mediamente ogni 4,2 anni, con una mobilità che è ancora più accentuata per i lavoratori di età compresa tra i 25 e i 34 anni: in media, in quel periodo, la durata di un lavoro è di 2,8 anni, di contro ai 10,1 anni dei dipendenti tra i 55 e i 64 anni di età. Insomma, il cambio di casacca è un elemento comune e ormai fondante della carriera professionale dei dipendenti, e lo è ancora di più nell’ultimo biennio. Mica a caso si parla del fenomeno delle “Grandi dimissioni”. Ma attenzione: i cambi di lavoro, cercati o imposti, per il meglio o per il peggio, possono avere delle conseguenze a livello previdenziale. E di certo questo è un aspetto a cui fare parecchia attenzione, viste le pensioni pubbliche “magre” che aspettano i lavoratori d’oggi. Pensando a chi, per garantirsi un futuro migliore, ha pensato bene di aderire a una forma di previdenza complementare, viene da domandarsi cosa succede al fondo pensione al cambio di lavoro: quali sono le opzioni per il dipendente?

Cos’è il fondo pensione?

Abbiamo già visto altrove cos’è il fondo pensione, approfondendo tutti i dettagli tecnici di questa forma di previdenza integrativa volontaria e non obbligatoria. In parole semplici, il fondo pensione è un tesoretto costruito nel tempo dal dipendente previdente, il quale sceglie di accumulare dei risparmi durante la propria carriera professionale per garantirsi un pensionamento sereno. Chi ha un fondo pensione nutrito nel tempo prepara infatti un assegno previdenziale aggiuntivo per la propria età pensionabile, che andrà ad aggiungersi a tempo debito a quello erogato con la previdenza obbligatoria.

Non c’è nessun obbligo di aprire un fondo pensione per il proprio futuro. Ma è un dato di fatto che le pensioni pubbliche che aspettano i lavoratori d’oggi non sono particolarmente attraenti, ed è un altro dato di fatto che lo stesso Stato incentiva i lavoratori ad aprire un fondo pensione a suon di agevolazioni fiscali. Il concetto di fondo è semplice: la sola agevolazione fiscale non è in grado di garantire ai dipendenti una pensione effettivamente soddisfacente, capace di assicurare un pensionamento sereno a livello economico; per questo negli ultimi anni i trattamenti fiscali dei fondi pensione sono diventati via via sempre più convenienti, trasformando questo investimento in una mossa intelligente e da non posticipare nel tempo (perché i vantaggi fiscali aumentano con l’aumentare degli anni di versamento).

Nella maggior parte dei casi, il fondo pensione creato dai lavoratori dipendenti è un tesoretto che aumenta di mese in mese con il trasferimento automatico del TFR nel fondo pensione, eventualmente con l’apporto di versamenti volontari ulteriori di poco conto.

Continuità contributiva e buchi contributivi

Parlare di quello che succede al fondo pensione al momento del cambio di lavoro senza nominare la continuità contributiva vorrebbe dire trattare in modo incompleto questo tema. È bene sapere che, con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo per calcolare il momento e l’entità della pensione, la continuità contributiva è diventata estremamente importante.
Per continuità contributiva si intende il flusso regolare del tempo dei propri versamenti all’INPS, che avviene automaticamente con gli stipendi mensili. Il problema è che, in un’epoca in cui si cambia spesso lavoro, possono crearsi vari “buchi contributivi”, anche piccoli, i quali però possono avere due conseguenze negative: allontanano il pensionamento nel tempo e assottigliano l’assegno pensionistico. Il lavoratore che presenta dei buchi contributivi è quindi chiamato a ristabilire la continuità “colmando” quelle falle, per esempio con dei contributi volontari. Ecco, vale la pena di ricordare che il fondo pensione va a proteggere automaticamente il dipendente dai buchi contributivi, andando a integrare già di per sé l’assegno pensionistico. Si può quindi guardare da questo punto di vista al fondo pensione come a uno strumento doppiamente attuale.

Cosa succede al fondo pensione al cambio di lavoro?

Cosa succede quindi nel momento in cui un dipendente che partecipa a un fondo pensione, e che versa mensilmente il proprio TFR in quel tesoretto, decide di cambiare lavoro? Come abbiamo visto, esiste il riscatto del fondo pensione in caso di licenziamento, ovvero più precisamente nel momento in cui cessa lo status di lavoratore occupato.
Ma nel caso del cambio di lavoro non si parla di disoccupazione o di inoccupazione, quanto invece di un cambio di azienda. Non ci sono però problemi: come abbiamo visto il fondo pensione – come del resto il TFR – è qualcosa di proprietà del lavoratore, non certo del datore di lavoro. Ecco allora che il lavoratore che cambia lavoro ha la facoltà, se conveniente o necessario, di trasferire la propria posizione in un altro fondo pensione.

È del resto l‘art. 14 della legge n. 252 del 2005 a dire che «decorsi due anni dalla data di partecipazione ad una forma pensionistica complementare il lavoratore aderente ha facoltà di trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche prevedono esplicitamente la predetta facoltà e non possono contenere clausole che risultino, anche di fatto, limitative del suddetto diritto alla portabilità dell’intera posizione individuale».

La portabilità del fondo di una forma pensionistica complementare è quindi garantita a priori.

Fondo pensione e cambio di azienda: le opzioni del dipendente

Quali sono quindi nel concreto le opzioni percorribili da un dipendente aderente a un fondo pensione che cambia lavoro? Sono essenzialmente tre:

  • Il dipendente può decidere di mantenere immutata la propria posizione, mantenendo quindi il medesimo fondo pensione; sarà necessario unicamente comunicare al nuovo datore di lavoro la nuova destinazione del TFR;
  • Il dipendente può chiedere di trasferire la propria posizione individuale in un altro fondo o in generale in un’altra forma pensionistica complementare, passaggio che è in ogni caso garantito dalla legge, come visto, dopo 2 anni dalla data di iscrizione;
  • Il dipendente, in caso di un periodo di disoccupazione tra un lavoro e l’altro, può andare a chiedere il riscatto totale o parziale del fondo, richiedendo quindi tutta o una parte della propria posizione maturata fino a quel momento.

Il fondo pensione è una risorsa versatile che offre sempre diverse opzioni al dipendente: si tratta di un tesoretto per il lavoratore, e non di un investimento che può mettere in difficoltà chi lo sottoscrive. Esistono infatti diverse vie per la portabilità, per il riscatto e via dicendo.

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